BIOGRAFIA

 

Mostra "Segno Grafico " Venezia

Marzo 1974

Questo giovane artista, veneziano di nascita e di spirito, è un ansioso cercatore di se stesso, dal se stesso più profondo e più vero.
E le vie della sua ricerca sono due, diverse e parallele: quella della poesia e quella della grafica e della pittura.
Nessun sospetto di dilettantismo nel suo doppio operare: il suo impegno di studio, così nell'una come nell’altra arte, è il più serio e appassionato che si possa richiedere a chi lavora in quei campi difficili.
Paolo Leoncini obbedisce come artista a un imperativo morale che non permette compromessi: fa quel che deve fare.
Una volta che conversavo con lui, ricordai, a proposito del successo di certe avanguardie, il motto dei nostri antichi: vulgus vult decipi, che tradurrei « il pubblico vuol essere imbrogliato ». Egli, Leoncini, mi rispose semplicemente: io non desidero altro che di esser riconosciuto, fuori da ogni imbroglio, nella mia qual sia realtà e verità. Un giovane d'oggi che pensi e senta e parli così è, senz'altro, un caso da segnalare. Dei risultati del suo lavoro letterario non è il caso di dire qui; accennerò soltanto al fatto che le sue poesie hanno una forte accentuazione pittorica. Di quelli della sua grafica giudicherà il visitatore di questa ampia rassegna. Io non son qui per fare critica, ma soltanto per dire a chi voglia ascoltare: fate attenzione a questo giovane artista, e tenete a mente il suo nome.
Di lui avremo certo occasione di riparlare.
DIEGO VALERI


Nota biografica alla seconda mostra personale (Udine, dicembre 1974):


PAOLO LEONCINI fin dalla prima adolescenza. Laureato in Lettere Padova, poeta e studioso di Letteratura contemporanea, ha intensificato negli anni più recenti anche l'attività di disegnatore, acquerellista, incisore, realizzando diverse centinaia lavori. Ha seguito nell'autunno 1973 il 1° Corso di Calcografia organizzato dal Centro Internazionale della Grafica di Venezia
La sua prima mostra personale (Venezia, marzo - aprile 1974) avuto notevole consenso di artisti, pubblico e critici (menzioni e note critiche sono apparse sull'”Avanti”, sul « Gazzettino », su NAC, su « La Vernice », su “Note d'arte”)
Ha esposto alla 56° Collettiva dell'Opera Bevilacqua La Masa Venezia (dicembre 1971-gennaio 1972), alla 1° e 2° mostra e soci dell'Associazione « Segno Grafico » (Udine, giugno-luglio 1973 e luglio 1974), alla mostra degli allievi del Corso di Calcografia (Venezia, gennaio 1974). In questa seconda mostra personale espone circa una sessantina di lavori, quasi tu del 1974, di cui venti incisioni
(acquaforte-acquatinta e punta secca) e disegni a china e a pastello e matita. Sue opere trovano in collezioni italiane e straniere.

Accolgo con piacere l'invito dello scultore Gianni Aricò di allestire una esposizione nella Chiesa di S. Andrea. E' un motivo di soddisfazione e di speranza dopo un periodo per me assai difficile.
Mi auguro che la mia ricerca testimoni un'attenzione viva alla problematica critica e artistica di oggi. Nei contenuti grafici e pittorici e in quelli poetici ho cercato di comunicare il senso di una connessione cosmologica tra i molteplici aspetti della realtà naturale. Spero di essere riuscito ad esprimere una sensibilità interpretativa storicamente «attuale», attraverso un discorso che cerca di sottrarsi così ai tradizionalismi più stantii come agli sperimentalismi dell'avanguardia, nella quale si riafferma una concezione elitaria dell'arte e si rischiano slittamenti alla moda, a soluzioni sradicate dalle ragioni più vive della storicità. Anche nel saggio sulla critica di Emilio Cecchi credo si ritrovi una sensibilità non dissimile a quella che mi sono impegnato a sviluppare in forma artistica: così, forse, si crea una sorta di «unità» tra i vari momenti del mio impegno che ora, con molta semplicità e umiltà e con il ricordo di Diego Valeri a cui debbo molto, che sempre mi incoraggiò a realizzare e a manifestarmi pubblicamente, desidero presentare, per giungere ad una verifica attraverso una maggiore apertura agli altri, una fiducia nella comunicazione umana, nella ricezione attiva di ambiti sociali attenti ai fenomeni della cultura come a fenomeni essenziali dell'esistere individuale e collettivo.
PAOLO LEONCINI

Studio critico edito da Bulzoni nel 1976 - finalista al " "Premio Viareggio" (opera prima) 1976

( Riprodotta Acquaforte/Acquatinta "Notturno" del 1973 )

Il vero esordio alla pittura di Paolo Leoncini avviene dopo una sua lunga e personalissima esperienza, apparentemente frammentaria e intermittente. Operarono in quella « preistoria » stimoli familiari, riflessioni e interessi di studio estesi dal territorio delle lettere alla più propria storia della pittura: come se, impedito da una sorta di timidezza o reticenza, avesse ricercato più solide ragioni alla sua vocazione. Essa operò lentamente, crebbe ed emerse a strappi con prove generate da insopprimibili bisogni che tosto si spegnevano e rientravano in se stessi. Erano brevi colloqui con se stesso e con il mondo, con la natura e con il proprio bisogno di dire, di comunicare, di amare, che è donare se stessi e la propria intelligenza del mondo.
Egli inizia ripartendo da zero, facendo tabula rasa; preferisce muoversi in una terra di nessuno. I fogli bianchi non sono, allora, che lo spazio dove accade il suo tempo personale che potrebbe identificarsi con la ricerca del segno: ricerca di strumenti certi con cui intessere l'aperta vicenda della conoscenza. Nel biennio 1971/72 ci passano sotto gli occhi in un incalzante, quasi inarrestabile agire, dei fogli bianchi percorsi da aspre linee ondulate o spezzate in prevalenza orizzontali, d'un nero inchiostro assoluto, che partono volta a volta da destra o da sinistra e s'ispessiscono, s'aggrumano nella zona centrale dove s'incrociano con altre linee del medesimo indice di forza che scendono dall'alto verso il basso e poi riprendono movimento orientale con energia dissolta ai limiti del foglio. Il foglio bianco non è dunque un campo neutro, ma l'ambito
spaziale entro cui si dipanano incontenibili energie. E' come se l'autore ricercasse la traccia sicura di campi magnetici che guidano e tengono l'insieme secondo misteriose strutture non ancora individuate. Questa ricerca di un segno totale, di una trama o di una grata che colga il reale senza eluderlo o soffocarlo o prevaricarlo è la ragione profonda che investe tutta la prima stagione della sua arte. E' una ansia di forma che deve prendere coscienza di sé se vuole omologarsi al reale e concretamente inverarsi. Non era forse casuale la congiuntura personale con le drammatiche vicende storiche, con i nodi laceranti che il momento sociale metteva innanzi a noi tutti: il bisogno di rifondare noi stessi era un più profondo bisogno di ridefinire la realtà nella sua interezza. Le stesse tensioni vengono riprese nella tecnica dell'acquerello, come se Leoncini volesse sperimentare se il colore aereo e trasparente fosse in grado di reggere energie drammatiche: fosse in grado con mezzi diversi di manifestarle e nel contempo decantarle.


Negli anni seguenti quei segni astratti e vibranti s'inverano, vengono a delimitare più apertamente brani di paesaggio urbano, brandelli e frammenti figurativamente riconoscibili, sintonizzati sulla natura e sulla città. Il segno è meno improvviso, ma come guidato da un'interna razionalità e persuasa sicurezza ricalcata sull'evidenza delle cose. Le matasse lineari convergono come vettori a momenti nodali mentre compaiono accenni prospettici e tasselli di colore ritrovare fluidità di ritmo, disponibilità immaginativa. Ri-prende quindi l'esperienza del colore: un'esperienza interna alla materiacolore, condotta come una sorta di scandaglio in profondità. Un'intensità solitaria fa dilagare queste composizioni sul terreno di un angosciato espressionismo che pare voglia bruciare ogni residuo di forza per giungere al cuore delle cose. Ancora una volta, per un alternarsi biologico, su quest'apice irrompe di nuovo il segno. Esso sembra scaturire ora d'incanto uniformato al tessuto co-loristico come si rivelasse improvvisa l'impalcatura strutturale segreta sottintesa nel colore rappreso che segue una dinamica complementare di blu notte misteriosi, onirici e di rosso sangue tutto vita ed energia.
Siamo alla metà degli anni '70 e i risultati conseguiti sono persuasi e persuasivi. In questo impegno di sperimentazione faticosa e diuturna si sono consumate notevoli energie. Sicché dopo la metà degli anni '70 assistiamo come ad un'opera di decantazione quasi ci si fosse lasciati alle spalle uno spossante cammino e si potesse guardare avanti con maggiore fiducia. Ma questo sguardo è lo sguardo disincantato di chi ha molto sofferto e conosciuto. Le tempere di questa stagione il mezzo prescelto non è casuale sono atone, i colori hanno perso di sonorità, appaiono come spossati e solitari. Si materializzano paesaggi che sono deserti, monti simili a dune spoglie e aspetti naturali immersi in silenti azzurri lunari. E quando si compongono in maggiore equilibrio sembrano approdare ad un porto senza ardori e senza avventura. Bastano tuttavia pochi anni perché avvenga un mutamento di rotta. Nelle opere realizzate tra il '78 e il '79 scopriamo improvviso un rimescolamento di carte, un riannodare fili interrotti per ritessere nuove immagini anima-te da più complesse motivazioni. Segno e colore a china appartengono più strettamente ad un unico linguaggio: quel verificarsi e scontrarsi l'un l'altro del passato, il precedente dialettizzarsi, scorrono ora su di un unico alveo senza dicotomie. Su questo versante si fa più riconoscibile il paesaggio reale. Appare chiaro il territorio del nostro vivere. Nascono delicatezze e candori di un'innocenza che appare riconquistata, senza che l'espressione si risolva nell'atmosfera della poesia lirica. Accanto a questi lembi d'anima sognanti emergono inedite tensioni espressionistiche a indicarci che l'angoscia, la solitudine e la disperazione non sono eludibili.
Se fino alle soglie degli anni '80 l'artista sembrava muoversi tra le opposte rive del segno e del colore, ora raggiunge una sintesi funzionale alle proprie esigenze etiche di comprensione del reale. Lo scorrere del tempo si è arricchito di rivoli chiari e segreti. Il messaggio che egli oggi ci consegna è vivissimo e illuminante, come una rivelazione. La sofferta dinamica di segno e colore sembra sempre più alludere all'esigenza di un ricupero « biologico » della dinamica estetica.
Luciano Speranzosi

IMMAGINE E STRATIFICAZIONE DELL'IMMAGINI

Ricuperare il tempo dell'immagine; ad esempio, vivere colori, le forme, i rumori dell'acqua, le modulazioni di luce e ombra, di realtà e riflesso; riproporre questo mondo nelle sue infinite rispondenze in un linguaggio metaforico tutt'altro che liricamente evasivo, ma che assume dal vissuto reale un'intensità universale, una trasparenza veritiera. Testimonia il nostro essere nel mondo, che si dilata e si arricchisce di molteplici richiami stratificati in un'interiorità, da cui emergono di volta in volta, configurano un'immagine sempre nuova e riscoperta; vibrante nella dinamica tra movente espressivo ed esito metaforico-simbolico. L'arte, per essere d'avanguardia, dice Edoardo Sanguinei deve esprimere "una verità generale di carattere sociale": fondamento di ciò non può risiedere, allora, miei "contenuti", nelle idee, nelle correnti, nelle poetiche, nelle mode, nella estetizzazione delle performances, ma nel ricupero di un diritto umano e poetico, quello del tempo dell'immagine, il cui evento sperimentale, nelle singole realizzazioni, rifugge da remore formalistiche, non è condizionato da uno "stile" ripetitivo, (tanto meno da un "cifra" passepartout), ma è, appunto, un libero "accadere" e si costituisce come lo spazio dialogico tra autore fruitore.
Venezia diviene, allora, luogo privilegiato dell'immaginario, nel suo stratificarsi al tempo stesso urbano e poetico, nel suo spazio correlato e aperto tra terra, laguna, mare.
Alla sua fine storica (e, per molti aspetti antropologica e fisica) sopravvive una epifania di immagini-colore, di immagini-suono: mondo che metamorfosa in un altrove costante, che non rinuncia a testimoniare, a dispetto dello sfruttamento mercantile, un azzardo della civiltà, l'essenza di un intreccio unico di cosmologia e storia.

PAOLO LEONCINI


   
Partecipa nel Dicembre 2006 alla "Collettiva" di Natale alla
LIGHT GALLERY - LONDON
 
 


"ORIZZONTI MUTEVOLI

Malamocco. Il campanile. La chiesa. I canali imbambolati. Gli orti. I cespugli selvaggi. I Murazzi. Il sodalizio tra mare e laguna . Questo è l'osservatorio, amoroso e costante, di un Personaggio che visita mondi e linguaggi paralleli: la letteratura e la pittura con radici e diramazioni grafiche intense. La prima è legata alla professione universitaria. L'altra sorge da una genuina vocazione ancestrale (il Padre fu pittore di chiara fama) e abita i nascondigli poetici dell'umiltà, del ritegno, della cotta operosa. Una cotta di cinquant'anni con rare ma indimenticabili apparizioni, accompagnate da giudizi autorevoli e musicalmente sinceri, partecipi di un alfabeto di segni e di immagini, di colori ora timidi ora aggressivi che anima l'inventiva, la tormenta, la scuote, la fa volare sopra la scorza delle emozioni. Le apparenze hanno l'intermittenza delle visioni. La verità delle immagini è un lascito della memoria: tocca l'essenza, la nobiltà della sintesi trasfigurante.
Paolo Leoncini (ecco il nome del Personaggio, amico del mare e della laguna, dei boschi e delle montagne) viene qui (tra il pomeriggio e il crepuscolo) a cercare la pace, a placare il conflitto delle meditazioni interiori che tracciano grovigli di segni, di ossessioni grafiche avide di armonie .
Chi sente i limiti della parola chiede aiuto alle immagini, ai colori, ai distretti misteriosi del suono. La prosa visiva, praticata a parole dalle penne facili del Duemila, è una meta rischiosa, quasi impossibile, a meno che non risorgano le voci chiare e luminose di Emilio Cecchi o di Paul Klee.
Le "partiture" di Paolo Leoncini scappano via dalla voce per cogliere l'essenza delle radici, del paesaggio che accoglie le avventure del pensiero con la gentilezza dei luoghi umili e antichi, dei racconti sospesi tra gli orizzonti mutevoli della vita insulare: storie di monumenti e cespugli, di orti, di piante matte, di riflessi pacifici, di scogli, di odori, di campanili che invitano alla preghiera.
Il campanile di Malamocco è un segnalibro che appare e scompare, prende le distanze dalle cose che lo circondano, ora reali, ora istigate dal genio immaginativo di un uomo schivo ma consolato dall'amicizia della natura che gli consente di ambientare lo spirito, di spostare lo sguardo dalle isole ai boschi, dall'umiltà dei cespugli alla maestosità delle cime dolomitiche.
La mobilità delle immagini, degli interessi visivi non è incompatibile con
l'indole contemplativa dell'uomo di Fede, dell'esploratore instancabile di linguaggi, di voci sfuggite dall'attenzione della memoria passiva."

 

 

 

web project by fedeweb - http://www.fedeweb.it/